Pollicino, Cenerentola, Biancaneve, Cappuccetto rosso, la Bella addormentata nel bosco sono tra le fiabe più note, un tempo lette in bei libri illustrati o ascoltate dalla voce dei nonni e dei genitori, poi ricreate per il grande schermo con i cartoni animati; da tempo sono soggette a letture dissacranti e impietose che ne spengono l’ingenuità e disvelano significati più o meno morbosi ma certamente inquietanti. Al di là di queste letture, cosa sono le fiabe? Quale funzione svolgevano, e svolgono, nell’educazione dell’infanzia? Esse sono una «spiegazione generale della vita», un «catalogo dei destini» e prefigurano uno sforzo per liberarsi da «forze complesse e sconosciute», come scriveva Italo Calvino, o sono una pedagogia della paura, un campionario di orrori, difficili da smaltire anche con il più radioso dei lieti fini?