Questo libro di Salvatore Ferlita è frutto di una doppia scommessa: considerare, da un lato, la letteratura prodotta in Italia nel secolo da poco trascorso (nella fattispecie, quella composta dalle opere di Flaiano, Soldati, Cassola, Manganelli, Pavese in rapporto a Canetti, Wilcock, Sciascia, Saba e Caproni) come qualcosa che non abbia ancora raggiunto, in merito alla ricezione critica, una piena compiutezza; dall’altro, fare del Novecento una sorta di lente di ingrandimento, per comprendere meglio anche autori collocati in un’altra dimensione temporale (Cervantes) o proprio sorpresi a ridosso del secolo (Artusi). Ecco, dunque, il motivo della scelta del titolo (sulla ideale scia di Novecento passato remoto di Luigi Baldacci, di cui però si vuole ribaltare la “verticale”), che fa riferimento a una forma verbale atta a indicare eventi, esperienze e fatti considerati come definitivi, ma che in realtà ancora si trovano nell’ambito dell’avvenire, di una realizzazione che tarda a concretizzarsi. Quello, dunque, che a torto è stato definito il “secolo breve”, non fa che allungare la sua ombra sinistra per spingersi sino a noi, trascinandosi dietro figure e testi vampirescamente risucchiati. Il tutto, trova compimento attraverso un’ottica che, specie nella seconda parte del volume, accosta latitudini diverse. Ora allineando scrittori della tempra di Poe, Stevenson, Kafka, Simenon, ora prendendo di mira un genere (quello epistolare) o la centralità, nelle carte letterarie, di un personaggio eccentrico e ciarliero come quello del barbiere.